Glossario

Convenzion
Coop. Sociali
Tipo A
Tipo B
Fondazioni
Fondi etici
Fund raiser
Fund raising
Interesse collettivo
Mutualità
Non profit
Non profit o no profit?
ONG - Organizzazioni non governative
Onlus
Organizzazioni di volontariato
Privato sociale
Rating etico
Sussidiarietà
Verticale e orizzontale
L'emendamento Boato
Così il Centrodestra
Terza dimensione

Convenzione
Strumento mediante il quale Istituzioni pubbliche instaurano rapporti di collaborazione con strutture private o organizzazioni che non hanno finalità di lucro per l'erogazione di servizi alla persona e alle comunità.

Coop. Sociali
Le cooperative sociali sono cooperative fondate con lo scopo di sostenere la promozione umana e l'integrazione sociale e lavorativa dei cittadini appartenenti alle cosiddette categorie svantaggiate e deboli (ex carcerati, disabili, ragazze-madri ecc.). Sono disciplinate dalla legge n. 381 dell'8 novembre 1991 che le suddivide in due tipologie:
 
 
Tipo A 
Perseguono l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale attraverso la gestione dei servizi socio sanitari ed educativi.
 
 
Tipo B 
Svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Fondazioni
Le fondazioni sono organizzazioni senza fine di lucro, dotate di un proprio patrimonio, impegnate in molteplici settori: assistenza, istruzione, ricerca scientifica, erogazioni premi e riconoscimenti, formazione, ecc.. La loro esistenza è prevista dal Codice civile e la loro struttura giuridica può variare a seconda del tipo di fondazione che viene costituita ed è facoltativa la richiesta del riconoscimento che, comunque, può essere ministeriale o regionale o delle province autonome.

Una particolare tipologia è rappresentata dalle fondazioni bancarie che, dopo un lungo processo di riforma, si stanno trasformando in organizzazioni non profit impegnate esclusivamente in uno (o più) dei sei settori di pubblica utilità individuati dalla legge: ricerca scientifica, istruzione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sanità, assistenza alle categorie deboli.

Fondi etici
Con tale dizione si intendono fondamentalmente i fondi comuni di investimento che ispirano la scelta degli impieghi in azioni, obbligazioni e titoli di Stato a criteri etici di selezione (il cosiddetto screening). Tali parametri si definiscono di esclusione/inclusione. In un'accezione più lata, però, si parla di fondi etici anche a proposito di quei fondi che prevedono la devoluzione di una parte delle commissioni di gestione o dei rendimenti conseguiti (dal risparmiatore, ma anche dalla società di gestione) a favore di enti non profit.

Fund raiser
É colui (soggetto singolo o collettivo) che è professionista del "fund raising" avendo acquisito delle competenze principalmente nei settori della psicologia, della comunicazione, del marketing, del diritto, delle pubbliche relazioni, possedendo altresì abilità in termini di praticità, sensibilità e "savoir faire". Tutto ciò per rilevare, analizzare, valutare, ideare, predisporre e realizzare le azioni di "fund raising" più coerenti alle tipologie di donatori che si vogliono coinvolgere.

Fund raising

Significa letteralmente dall'inglese "innalzamento/elevamento di fondi". Una definizione completa è la seguente: il "fund raising" è l'insieme delle strategie e delle azioni che un'azienda non profit deve mettere in atto affinché si sviluppi nel tempo un continuo afflusso di risorse finanziarie elargite gratuitamente per sostenere le attività istituzionali (anche sotto forma di progetti) dell'ente.

Interesse collettivo
Il concetto di interesse collettivo non viene definito direttamente, ma viene utilizzato per mettere in luce la possibilità di adottare criteri definitori sulla base delle finalità istituzionali dell'ente e dei suoi scopi sociali piuttosto che su elementi organizzativi strutturali. Il concetto viene quindi reso per contrapposizione a interesse soggettivo e ciò porta a pensare a un vincolo di non distribuzione degli utili tanto in forma diretta quanto in forma indiretta (diretta ovvero come divisione delle risorse o del patrimonio, indiretta ovvero attraverso beni e servizi resi come contropartita a un aderente).

Il concetto di interesse collettivo ha un campo di applicazione assai vasto: più scopi sociali di una singola organizzazione, senza sovrapporsi e senza riferirvisi direttamente, possono essere di interesse collettivo.
Nel perseguire un interesse collettivo le organizzazioni che non hanno finalità di lucro si caratterizzano a partire dallo scopo perseguito (dagli obiettivi del loro operato) e non dai mezzi impiegati per raggiungerlo (dal modo in cui operano per raggiungere l'obiettivo). Guardando alle modalità si mette in rilievo che le organizzazioni che non hanno finalità di lucro si definiscono sulla base di un divieto di lucro soggettivo (e il solo perseguimento di finalità di interesse comune): possono quindi esercitare anche in modo prevalente attività commerciali purché coerenti con le finalità istituzionali.

Mutualità
Con mutualità si intende l'azione di reciproco aiuto: il soccorrersi e l'assistersi a vicenda. Il settore delle mutue identifica quindi una comunità o un gruppo riconosciuto e che si riconosce che costruisce e offre ai suoi membri sostegno o tutela anche materiale.

In Italia il concetto di mutualità è stato uno dei motori che ha costruito quello di solidarietà: schematizzando, al fine di passare da mutualità a solidarietà, è necessario allargare l'insieme di coloro che condividono il patrimonio comune (che non è più prevalentemente materiale, ma in egual modo morale, ideale e materiale), ovvero si passa dai soci della mutua o da una comunità definita, alla persona, alla comunità umana, e a tutti gli esseri viventi (anche se resta da capire se è possibile parlare di solidarietà fuori dal genere umano).

Nota: Il concetto di mutualità richiama quello di assistenza e non quello di beneficenza. Sotto un rispetto più specificatamente giuridico/fiscale l'ordinamento italiano identifica come mutualistiche quelle azioni (pure meritorie) che un insieme di persone scambiano tra di loro ed esalta l'utilità sociale delle azioni rivolte all'esterno dell'insieme degli aderenti (e per alcuni soggetti giuridici si dice esclusivamente all'esterno) che così assumono un superiore interesse per la collettività e un più alto livello di meritorietà.

Non profit
Per arrivare a una definizione del non profit è utile rifarsi allo schema classificatorio di tali attività formulato dall'Sna (System of National Accounts), la carta degli statistici internazionali. Secondo l'Sna, le istituzioni non profit sono definite come enti giuridici o sociali creati per lo scopo di produrre beni o servizi il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno di tipo finanziario per chi o coloro che le costituiscono, controllano o finanziano.
In base a tale definizione non si esclude "né che dall'attività delle non profit si generi il reddito necessario a remunerare il lavoro di chi vi opera, né che l'attività di produzione sia accompagnata dalla vendita dei beni e dei servizi prodotti, né che da tale attività si generino redditi, profitti o altri guadagni finanziari". L'unico vincolo riguarda la non distribuzione degli utili (non distribution constraint).
Un ulteriore criterio di classificazione prende in considerazione la fonte prevalente di finanziamento, distinguendo le non profit in market e non market a secondo che nella loro attività prevalgano i ricavi delle vendite di beni e servizi oppure i trasferimenti di fonte pubblica o privata.

Chiarito ciò, in base alla natura dei soggetti che le hanno costituite e alla destinazione dei servizi, si distinguono le seguenti tipologie di non profit:
  nell'ambito delle non profit di pubblica utilità ci sono realtà che erogano servizi per la collettività e altre che, invece, rivolgono la propria attività alle persone. Rientrano nel primo gruppo le organizzazioni, di emanazione esclusivamente pubblica, che si occupano, per esempio, di servizi in campo ambientale, della difesa e della sicurezza, della previdenza sociale obbligatoria. Il secondo gruppo, quello relativo ai servizi di pubblica utilità alle persone, riguarda, invece, i settori della sanità, dell'assistenza sociale, della cultura, dell'istruzione e dei servizi al lavoro. In parte tali settori si sovrappongono anche a quelli tipici delle politiche di welfare state. Le non profit che prestano servizi rivolti alle persone possono essere costituite sia da soggetti pubblici che da privati.

Siamo, comunque, di fronte a un'impostazione e a un lavoro definitorio decisamente chiari, schierati dalla parte di chi non vede contrapposizioni tra non profit e mercato e tra non profit e impresa. Purtroppo, a fronte di una tale concezione la pratica statistica non si traduce in modelli di rilevazione che consentano di misurare efficacemente l'entità del fenomeno non profit. Si può anzi parlare, come fa Marco Martini (attuale rettore della facoltà di Statistica dell'Università di Milano-Bicocca, ndr.) di un "oscuramento" del non profit nelle statistiche italiane. È, infatti, proprio sul piano statistico che oggi si palesa il contrasto tra "una cultura moderna" che colloca il non profit "nel mercato e una cultura vecchia che parla di Stato e di mercato, e di una zona intermedia, evidentemente residuale, in cui chi si trova è destinato ad essere schiacciato ora dall'uno, ora dall'altro.
Così succede che quando si passa alla costruzione dei conti economici o delle statistiche sull'occupazione si individuano solamente alcuni settori fondamentali che non consentono di rilevare le imprese non profit. Tutte quelle realtà che producono servizi di pubblica utilità destinati alle persone nei settori dell'istruzione, della sanità, dell'assistenza, non sono oggi in alcun modo distinguibili dalle imprese profit. Sorte analoga tocca alle non profit create e controllate dalle istituzioni pubbliche, che si confondono nell'insieme della pubblica amministrazione. Non esiste inoltre alcun registro aggiornato delle non profit presso le Camere di commercio, né sono disponibili dati al riguardo all'anagrafe tributaria o negli archivi degli enti previdenziali. Il risultato è che oggi nessuno è in grado di sapere quante sono, quanto producono, che occupazione hanno. Le uniche realtà che vengono rilevate a livello statistico sono così i club, i gruppi mutualistici e le charities. Così, secondo Martini, la mancata rilevazione delle imprese non profit nelle statistiche pubbliche nazionali "contribuisce all'equivoco di ridurre" tutto "alle associazioni di volontariato o ai club". (Giorgio Vittadini, Il non profit dimezzato, EtasLibri, 1997)

Non profit o no profit?
Non profit: proviamo a fare un po' di chiarezza sulla grafìa e sul suo significato. Profit, termine latino, forma contratta della terza persona singolare (modo indicativo, tempo presente), del verbo proficere che significa avvantaggiare. La parola confluì nel vocabolario anglosassone, tra il Cinquecento e il Seicento, ad opera di alcuni monaci. Non profit, termine d'origine americana più che anglosassone, sta per non profit organizations, e indica quegli enti che operano senza avere per fine primario il conseguimento del profitto (il termine scientificamente più usato è, infatti, Not for Profit). Il che non vuol dire che non possano conseguire dei profitti, ma semplicemente che questi debbano essere reinvestiti nel perseguimento del fine primario di queste organizzazioni. Riassumendo: giusto scrivere non profit, sbagliato no profit.
E il Terzo settore, perché è definito come settore terzo? Con quest'espressione, usata spesso come sinonimo di non profit, si indica l'insieme dei soggetti che operano secondo logiche e meccanismi che non appartengono né allo Stato né al mercato. Definizione considerata da alcuni inadeguata perché è una definizione per negazione. Costoro preferiscono parlare di "economia civile".

ONG - Organizzazioni non governative
Le ONG sono organizzazioni private di vario tipo che operano, con diverse modalità, nel campo della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale. La loro attività nell'ambito della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo è disciplinata dalla legge 49/87 (la cui riforma è in discussione da quasi tre anni) che prevede la concessione, da parte del ministero degli Affari esteri, del riconoscimento di idoneità. Tale riconoscimento consente alle ONG di accedere al finanziamento governativo per la realizzazione di progetti di cooperazione, affidati dal ministero degli Affari esteri o promossi dalle stesse organizzazioni, e delle altre attività previste dalla legge.
Le ONG possono essere suddivise in cinque tipologie che, però, non si eludono a vicenda:

  Le ONG, indipendentemente dal riconoscimento di idoneità del ministero degli Affari esteri italiano, possono accedere ai finanziamenti dell'Unione Europea previsti per i progetti, nei Paesi in via di sviluppo o in Italia, che rientrano nei programmi europei di cooperazione.

Onlus
Le Onlus, organizzazioni non lucrative di utilità sociale disciplinate dal decreto legislativo n. 460/97, definiscono in termini esclusivamente fiscali molteplici tipologie di enti non profit: associazioni, comitati, fondazioni, società e cooperative ecc. Scopo della legge è di agevolare fiscalmente, in presenza di determinate condizioni ed entro limiti ben precisi, le organizzazioni non profit e di favorirne la diffusione nel Paese.

Organizzazioni di volontariato
Rientrano nella definizione legislativa di organizzazioni di volontariato tutti gli organismi, qualunque sia la veste giuridica scelta, liberamente costituiti per svolgere attività senza fine di lucro, anche indiretto, per scopi esclusivi di solidarietà e che si avvale in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. Tale definizione è contenuta nella legge quadro 11 agosto 1991, n. 266; ogni Regione ha poi deliberato una propria legge regionale che disciplina sul proprio territorio il riconoscimento delle organizzazioni di volontariato e ne gestisce il Registro regionale.

Privato sociale
Termine che prende origine da un vocabolario di tipo sociologico, introdotto da P. Donati nel 1978. Prendendo le mosse dal concetto di terza dimensione, l'espressione privato sociale distingue tra relazioni del mondo vitale (relazioni primarie con l'ambiente famigliare o amicale e parentale stretto) e quelle del privato sociale (sistemi di azione organizzati sulla base di regole e scopi di solidarietà sociale).
Le organizzazioni che compongono il privato sociale sono così caratterizzate:
I. non sono né pubbliche né private;
II. si auto-regolano in base a un proprio codice simbolico normativo;
III. hanno una propria soggettività sociale;
IV. si sviluppano proporzionalmente alla crescita della complessità sociale.

Se con terzo settore si definisce l'insieme delle organizzazioni che non hanno finalità di lucro per difetto ovvero a partire dalle caratteristiche di un primo settore (il Mercato) e di un secondo settore (lo Stato) con privato sociale ci si riferisce allo stesso universo a partire dalla sua identità.

Rating etico
È l'attività di certificazione del grado di eticità di un'azienda svolta da appositi istituti di ricerca. Definiti determinati requisiti di inclusione/esclusione (per esempio , tra i primi: il rispetto dell'ambiente, dei diritti dell'uomo; tra i secondi: lo sfruttamento dei minori, il commercio d'armi), tali agenzie ne verificano il possesso da parte di aziende sulle quali gli investitori istituzionali hanno chiesto informazioni.
La più famosa e temuta società di rating etico è l'americana Kinder Lydenberg Domini. In Italia, tra le più accreditate ci sono Avanzi ed E. Capital Partners.

Sussidiarietà
Sussidiarietà, una parola dimenticata, propria del cattolicesimo sociale degli anni '50, è diventato negli ultimi anni del 2000 il terreno di incontro e di scontro fra società civile e politica. Si tratta di un principio che regola la vita di una comunità nazionale e secondo il quale lo Stato, nelle sue varie articolazioni centrali e locali, interviene soltanto quando non è possibile l'iniziativa dei cittadini, singolarmente o attraverso le loro organizzazioni. Stato ed enti locali intervengono cioè in maniera sussidiaria rispetto ai cittadini.

Verticale e orizzontale

La sussidiarietà "verticale" prevede che intervenga l'articolazione statale più vicina al cittadino, quindi il Comune, prima della Provincia, della Regione e dello Stato stesso. Ogni soggetto pubblico è sussidiario all'altro. Il modello "orizzontale" concepisce invece l'intervento dei soggetti pubblici quando soggetti privati, il mercato o le formazioni sociali, non possono provvedere direttamente. È questa la forma reclamata dalla Terzo settore per quanto attiene i servizi alla persona ed è in questa direzione, secondo molti osservatori, che potrebbe avviarsi la riforma del welfare.

L'emendamento Boato
È contrassegnato dal numero 6.40.2 l'emendamento Boato Paissan che introduce il principio di sussidiarità nella legge "sull'ordinamento federale della Repubblica italiana". La proposta dei parlamentari Verdi interviene sull'articolo 118 che è stato così riscritto: "Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla basa del principio di sussidiarietà".

Così il Centrodestra
Più radicale la proposta della Casa delle Libertà contenuta in un emendamento di Pisanu (Fi), Selva (An) Pagliarini (Lega) e altri deputati. Il testo, bocciato dalla Commissione, recitava: "I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati. La titolarità delle funzioni pubbliche è attribuita, in base al principio di sussidiarietà, ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato (...)

Terza dimensione
Termine che prende origine da un vocabolario di tipo sociologico, introdotto da Ardigò nel 1980.
Non fa riferimento a precise attività o modalità operative nell'identificare le organizzazioni, piuttosto si riferisce a una tipologia di relazioni collettive e di rapporti interpersonali. Sottolineando gli aspetti e il valore anche simbolico culturale delle relazioni e delle conseguenti forme organizzative delle organizzazioni che non hanno finalità di lucro definisce un modello alternativo a quello prevalente di tipo economico strumentale.